2004 – TWO FOR TANGO catalogo mostra – Galleria Uusitalo – Helsinki
Francesca Tulli dipinge gli interni della sua casa, ma potrebbe essere la casa di ognuno di noi. Li dipinge da angolazioni inusuali fino a renderli quasi irriconoscibili, ma è molto attenta a mantenere una certa sensazione di comfort. Il suo desiderio inconfessato sembra essere quello di cogliere le cose di sorpresa. Di scoprire la loro vita segreta durante la nostra assenza. La sua però non è pittura Metafisica, non è infatti interessata a rendere inquietante ciò che è familiare, a inseguire l’ enigma e a fissarlo in modo tale che sia esso ad interrogarci ogni volta che proviamo ad interrogarlo.
De Chirico usava tutte le astuzie del grande maestro e tutte le ambiguità della pittura per istituire il suo eterno gioco di rimandi. A conti fatti ci ha dimostrato che non è la pittura ad essere ambigua ma il concetto stesso di realtà. La Tulli al contrario non forza le possibilità del linguaggio, ma quelle dello sguardo. Non vuole oltrepassare la soglia al di la della quale lo strumento diventa protagonista e il suo utilizzatore poco più che complice, vuole spingerci verso il confine in cui tutte le nostre certezze potrebbero venir meno usando esattamente quelle certezze: una pittura docile rispetto alla percezione, un continuo raffronto prospettico con la fotografia e una resa del rilievo per così dire classica. Vuol farci capire in ultima analisi che a tenere insieme il tutto siamo noi, ma che la messa in forma della realtà non è automatica, si costruisce con l’ abitudine e dall’ abitudine potrebbe essere distrutta.
Nel suo ciclo di lavori più recente la pittrice romana sembra aver complicato il suo teorema, in realtà lo ha solo ampliato per mostrarcelo, neanche a dirlo, da altri punti di vista. Glia interni sono sempre presenti, con gli arredi, con gli arredi e le suppellettili di tutti i giorni, ma ad essi si affiancano ora le vedute dalla finestra di casa. Come in tante riprese cinematografiche alla sobria discrezione di un ambiente privato sia giunge lo spazio della vita pubblica incorniciata dalla lontananza e dal silenzio. I colori sono due soli il rosso e il bianco, entrambi usati a mò di filtro, di diaframma dietro il quale traspare il chiaroscuro di una pittura più disegnata che dipinta.
Potrebbe sembrare una variazione introdotta solo per motivi di eleganza, quasi a mimare la secchezza della grafica e l’ elementarismo di certi messaggi pubblicitari, ma osservando più da vicino ci accorgiamo subito che ancora una volta siamo di fronte ad un congegno complesso, ad una sfida che dal piano ottico trapassa a quello mentale acquistando per strada uno strano sapore evocativo.
Osservare più da vicino significa infatti accorgersi subito almeno di due fatti e cioè che le immagini dalla finestra si trovano su piani prospettici diversi rispetto a quelli di pavimenti e davanzali e che i soggetti rappresentati sono intercambiabili e in qualche modo anche improbabili con le opzioni che un computer ci mette a disposizione per personalizzare lo schermo nei momenti di stand-by.
Oltre che ad osservare più da vicino, in questa mostra, la Tulli ci invita anche ad osservare più da lontano e lo fa con un semplice espediente installativo, quello di montare quattro tele apparentemente autonome e separate secondo una griglia a scacchiera. Ecco allora che diviene possibile percepire l’ alternarsi di bande bianche e rosse come elemento a disposizione di un gioco compositivo che sembra mimare una rotazione. Si forma cos’ un unicum attraversato da un tempo di fruizione prestabilito o comunque regolato da un ordine che metaforizza il modo di guardare cui ci hanno abituato le nuove tecnologie le nuove forme di riproducibilità dell’ immagine, sempre più aperte alla libera ricombinazione ma sempre più chiuse entro i limiti di un’ azione fredda, di un click che non è più quello impulsivo ed emozionato dello scatto fotografico.
Che al centro della ricerca di Francesca Tulli vi sia il rapporto tra abitudini percettive e messa in forma del reale lo dimostrano anche le sei piccole sculture presentate insieme ai quadri. Il loro impegno è palese: trovare per ognuna una posizione che il corpo umano possa effettivamente assumere, sia pure in una situazione limite, e che, ad un tempo, tradotta in una figura di bronzo di verifichi una reale possibilità di stare in piedi, di reggersi. La sottigliezza della proposta sta nel fatto che, ad operazione compiuta, rimane difficile stabilire quale sia la realtà che effettivamente trova ordine ed equilibrio: il soggetto rappresentato? Le nostre percezioni? L’ oggetto materiale di fatto costruito? O semplicemente l’ opera d’ arte?
Paolo Balmas