2011 – DIALOGO FRA PITTURA E SCULTURA: FRANCESCA TULLI – RIVISTA SEGNO
La recente messa in situ di un bronzo di Francesca Tulli a Latina ci offre lo spunto per tornare a parlare di questa garbata ma tenace artista che nella sua ricerca negli ultimi anni ha saputo istituire tra pittura a scultura un dialogo in un crescendo di innegabile originalità.
Come mi è capitato più volte di osservare il carattere peculiare dei dipinti della Tulli è sempre stato quello di non affidarsi in nessun caso all’ ambiguo o all’ indistinto per mettere a segno i propri risultati. Ovvero di riuscire sempre a trovare nuovi “punti di vista” attraverso i quali tornare ad indagare problematiche come quella del rapporto tra affettività e ambiente o quella della nostra propensione a produrre valori simbolici nell’ atto stesso dl vivere. Dove per “punto di vista” deve intendersi, in senso quasi letterale, una strategia di costruzione dell’ immagine che pur avvalendosi di situazioni percettive limite, rispetta sempre una geometria dello sguardo effettivamente ottenibile e una resa cromatica correttamente impostata.
“Arco lieve”, la scultura installata a Latina, al centro di una fontana sul lungomare, ci dimostra come un procedimento omologo possa essere usato anche nelle tre dimensioni. Si tratta, infatti, di un nudo femminile, a grandezza maggiore del vero, che posto al di sopra di un piedistallo si inarca all’ indietro in maniera del tutto inusuale, fino a portare i piedi, sospesi, al livello stesso delle mani su cui poggia. Anatomicamente una posizione del genere è effettivamente raggiungibile anche se in realtà capita di verificarlo solo durante l’ esibizione di qualche contorsionista. Nessuno tuttavia guardando la statua in questione si soffermerebbe più di tanto su una simile associazione di idee: ciò su cui, infatti, siamo subito portati a riflettere è ben altro, è l’ intrinseca archittettonicità della figura stessa, la sua capacità di dar forma allo spazio circostante, di ricavarcene la struttura, facendola emergere da una sorta di inerzia diffusa che è poi l’ inerzia medesima della nostra mente la cui capacità di meravigliarsi per qualcosa di semplice è ormai atrofizzata. Un effetto sorpresa questo che, nel caso specifico riproiettandosi sull’ ambiente circostante, evoca un pacato senso di mediterraneità abilmente e quasi umoristicamente sottolineato da una ricercata assenza di tensione nel corpo che di erge di fronte a noi.
Se è vero che il ricorso a posture improbabili ma strutturalmente nette e tese a rimettere in moto il nostro apparato conoscitivo è stato e resta il principale elemento cui rivolgersi per esplorare il rapporto di interscambio che la Tulli ha voluto stabilire tra la sua ricerca nelle due e nelle tre dimensioni, è anche vero che proprio praticando la scultura, soprattutto nelle piccole dimensioni le si sono venute via via rivelando delle aperture rispetto alla sua poetica di fondo che in precedenza erano rimaste celate e come sopite. Intendo riferirmi alla possibilità di immaginare concretamente, per passaggi tanto più suggestivi in quanto perfettamente ostensibili, le più incredibili ibridazioni o mutazioni, legate alla forma e al posizionamento del corpo umano, nonché al suo contatto diretto con elementi di supporto o di contenimento.
Uno sconfinamento nel fantastico, senza cedimenti al vago e all’ indeterminato, che a momenti sembra voler forzare la mano dell’ artista per fargli scrivere una storia altra dei simboli e degli oggetti di cui l’ umanità ha sentito il bisogno di circondarsi sin dagli arbori della civiltà. Una sorta di percorso trasformativo e in temporale quanto improbabile e tuttavia “more geometrico demonstrato”.
Paolo Balmas – Rivista Segno